Eccomi! Sono io il colpevole di aver fatto arrabbiare Chiara Geloni con quell’interpretazione, ritenuta maliziosa, del riferimento ai “centocinquant’anni di storia che sono alle nostre spalle” che Pierluigi Bersani è solito richiamare.
Prima di dire la mia, mi siano consentite alcune premesse.
La prima: non ho cercato io, come è ovvio, il giornalista Andrea Garibaldi del Corriere, e di quella ennesima lamentatio dei cattolici del Pd avrei volentieri fatto a meno, anche se mi riconosco in tutte le affermazioni correttamente attribuitemi. Avrei fatto a meno perché noto che il Pd oggi fa notizia solo per queste discussioni interne, ma, ahimè, temo che la colpa non sia propriamente dei giornali.
La seconda: non mi pare di avere posto principalmente il problema indicato dalla Geloni, semmai, mi sembrava più puntuale il riferimento all’insoddisfazione di Scoppola per l’incapacità del Pd non solo di darsi ma quantomeno di avvertire l’esigenza di darsi “una politica ecclesiastica”, oltreché l’altra considerazione su un lutto ideologico che una parte della sinistra che sta dentro il Pd non ha del tutto elaborato e ha anzi cercato di sostituire con una nuova ideologia, quella laicista che, a mio avviso, ha qualche responsabilità nell’avere ridotto l’appeal del partito verso i ceti popolari che si sono trovati in tal modo spiazzati e spaesati. Con la sensazione cioè della perdita della rappresentanza dei loro problemi proprio da parte di una forza riformista che non avrebbe mai dovuto perdere i collegamenti con questa Italia apparentemente “minore”, perché non frequenta salotti e club culturali, ma che ha fatto più di altri la storia della repubblica. Parlare di queste cose non mi sembra parlare d’altro, rispetto ai problemi non già del segretario Bersani ma di tutto il partito, nel quale e del quale tutti abbiamo responsabilità.
La terza: non sono stati i cattolici a sollevare la questioncina della massoneria, ma due assessori del Pd che hanno fatto outing e i rispettivi sindaci che per questa ragione li hanno sfiduciati. E, forse, il Presidente della commissione di garanzia, per come ha raccontato le decisioni sul tema, aggiungendo confusione a confusione. Fioroni & C. avrebbero potuto anche starsene zitti, ma il problema restava mal discusso, mal deciso e mal raccontato: certamente non un contributo all’immagine del Pd.
Dopo queste premesse mi permetto dire all’amica Chiara Geloni che il suo sforzo di giustificare quel ripetuto riferimento del nostro segretario ai centocinquantanni di storia che sta alle nostre spalle è capzioso o quantomeno assai acrobatico. Non solo perché Bersani dovrebbe parlare di “storie” e non di “storia” e, dunque, di percorsi paralleli che solo recentemente si sono incontrati, ma perché a Bersani alcune cose si possono contestare ma non l’onestà intellettuale che gli fa dire sempre ciò che pensa, e ciò che pensa è che il Pd sia l’evoluzione finale della storia della sinistra. Convinzione rispettabilissima e apprezzabilissima, ma convinzione che spiega, almeno in parte, le difficoltà che continuiamo ad avere nell’interloquire con quella parte di elettori che potrebbero essere interessati a dare rappresentanza politica all’“altra Italia” rispetto a quella berlusconiana, ma che non sono affatto interessati a entrare – con centocinquant’anni di ritardo – in una storia che dovrebbe essere finita per tutti.
Proprio oggi che i risultati dei ballottaggi in Sicilia e Sardegna ci danno una ventata di ossigeno buono, dobbiamo ribadire il proposito di guardare avanti piuttosto che alle nostre spalle, se vogliamo, anche a livello politico nazionale, raggiungere l’obiettivo che sinora abbiamo mancato.