Credo che la presenza non anonima dei cattolici sia condizione vitale per il Partito democratico, dopo essere stata una delle principali ragioni fondative. E credo che Chiara Geloni e Pierluigi Castagnetti, pur nella polemica, abbiano entrambi toccato punti cruciali che meriterebbero finalmente un esame approfondito e non la solita frettolosa archiviazione (che ormai sta diventando un test di sterilità del cattolicesimo politico). La “storia” del Pd è una questione essenziale, dirimente. Se si accetta l’idea che il Pd sia un soggetto “completamente nuovo”, libero dai legami con la vicenda nazionale, proiettato in un sistema politico il più lontano possibile dalla Prima Repubblica (e dunque dalla Costituzione), i cattolici democratici hanno poco da portare alla “ditta”. Possono rivendicare legittimamente una paternità, possono difendere transitoriamente delle posizioni negli organigrammi, soprattutto possono pretendere che la dissoluzione della “sinistra storica” avvenga alla stessa velocità della loro e di questo possono farsi garanti. Ma l’orizzonte del “nuovismo” – versione ultra-secolarizzata di una cultura che mantiene a destra la sua matrice, che ha i corpi intermedi come bersagli e l’individualismo laicista e liberista come religione civile – non mi pare affatto rassicurante. Ho sempre pensato che il Pd sia nato per ragioni opposte. Che, benché fondato da poco, abbia una lunga storia alle spalle. E, a mio giudizio, farebbe bene a rivendicarla. Non so se sia giusto arrivare a 150 anni fa, al Risorgimento, alle prime leghe socialiste, al mutuo soccorso, all’Opera dei Congressi che dà la prima proiezione sociale alla Chiesa nel tempo del non expedit. Di certo, come dice Castagnetti, deve essere chiaro che la storia del Pd è l’intreccio delle storie dei riformisti, principalmente della storia dei cattolici democratici e dei comunisti (che non sono nati democratici ma lo sono diventati con fatica, elaborazione, rapporto costante con il popolo). Se il Pd non avesse alle spalle questa lunga storia democratica non sentiremmo così “nostra” la Costituzione, non contenderemmo a Berlusconi l’eredità di De Gasperi, non ci sentiremmo offesi per le accuse incolte rivolte ora a Togliatti, ora a Moro, ora a Berlinguer (e non credo sia trascurabile il fatto che il centrodestra abbia sempre volentieri “regalato” Moro al centrosinistra). Un’ultima notazione: il Pd non sarebbe mai nato se i comunisti italiani non avessero vinto la competizione a sinistra con i socialisti e se il cattolicesimo politico italiano non avesse avuto il segno di uomini come De Gasperi, Dossetti, Fanfani, Moro, Zaccagnini. Spero di non essere accusato di cercare in sede storica quella sintesi che oggi è così difficile: anch’io penso che il destino è per intero davanti a noi. Ma le radici del Pd sono la misura della sua solidità: da quando è nato il Pd ha perso tutte le elezioni, però è ancora vivo, e nessuno mette in discussione il progetto. Non era mai accaduto nella storia repubblicana che una nuova formazione riuscisse a sopravvivere a una sola sconfitta. Questo vorrà pur dire qualcosa.
Si colloca a questo punto l’altra questione, a mio giudizio, dirimente. Chi incarna il cattolicesimo politico nel Pd? Qual è il soggetto che ha la maggiore responsabilità non solo per il carico che proviene dalla storia, ma anche per evitare che i cattolici si sentano emarginati o svalutati nel Pd? Quando parliamo di cattolici intendiamo gli ex-democristiani? I popolari? I credenti dei più diversi riti? “Quarta fase”? Per quanto sembri banale, mi rendo conto che il problema purtroppo non è di facile soluzione. E la scarsa chiarezza è esattamente uno dei punti di crisi, ovvero una delle ragioni che portano oggi alle “sofferenze” e ai “malesseri” da cui Geloni ha preso le mosse. Dico la mia: è necessario che si attivi un soggetto capace di unire i cattolici del Pd come nessuna corrente può fare, ma che sia al tempo stesso sufficientemente distaccato dagli organigrammi da lasciare poi alla libertà di singoli o di correnti organizzate le concrete battaglie di potere. E penso che il soggetto più idoneo a svolgere questo ruolo – proprio per il fatto che è naturalmente collocato al crocevia tra storia politica, sensibilità ecclesiale, voglia di proiezione futura – sia la Fondazione dei popolari di cui Castagnetti è presidente. Il compito, ovviamente, non è ripensare la storia passata. Al contrario, il problema è attualizzare principi e valori, consentire il passaggio del testimone, implementare la transizione verso “il Pd dei nativi” con soluzioni di “riformismo cristiano”, e last but not least ricostruire legami e corrispondenze con il magistero della Chiesa dopo anni in cui gli affluenti si sono pericolosamente prosciugati (e oggi la Chiesa italiana si trova in un interessantissimo momento di passaggio che già delinea un nuovo rapporto con il bipolarismo politico). Ciò non impedirà ai cattolici del Pd di partecipare liberamente al dibattito interno e alla battaglia esterna. Ciò forse potrebbe persino aiutarli a misurarsi poi in politica assumendosi per intero il rischio di proposte laiche. E chissà che per questa via non saremo anche in grado di rispondere all’estremo appello di Pietro Scoppola al Pd perché sia capace di una propria “politica ecclesiale” (problema certo del segretario pro-tempore, ma anche e soprattutto dei militanti e dirigenti cattolici).
Ho lasciato alla fine il problema se il lamento dei popolari sia oggi fondato o meno. Chiara e Pierluigi sono amici a me molto cari e mi spiace non poter proporre loro una sintesi oggi plausibile. Ciò che però mi pare sempre più evidente è il drammatico errore delle alleanze congressuali. Che il grosso dei popolari si sia coalizzato con quelle componenti che, appunto, fanno del nuovismo politico e costituzionale il loro abito della festa (per di più per avversione dei “comunisti italiani” che invece sono stati e sono, in tutta evidenza, i loro partner naturali nella cura dell’adolescente Pd), è stata una scelta al limite dell’incomprensibile. E ora purtroppo si pagano le conseguenze. A scanso di equivoci, non ritengo affatto che ci siano pezzi del Pd da ostracizzare: tuttavia, alcune componenti laiciste, liberiste, presidenzialiste possono svolgere più utilmente il loro ruolo di raccordo con istanze vive, presenti nella società e nella sinistra, se sono lasciate libere da funzioni di guida del partito. Va detto, a onor del vero, che i popolari non hanno sbagliato da soli e che avrebbe dovuto fare di più chi a sinistra è ben cosciente dell’essenzialità dei riformisti cattolici (e magari, con superficialità, ha pensato a un facile accordo post-congressuale). Fatto sta che siamo arrivati qui. E che allo stato la sola contromisura realistica è un progressivo, speriamo non troppo lento, superamento degli schieramenti congressuali. Il processo va condotto con saggezza e determinazione. Come in tutte le cose, le maggiori responsabilità ricadono su chi ha maggiore potere, dunque innanzitutto sul segretario. I cattolici che sentono la responsabilità, verso se stessi e verso i giovani, di una cultura così decisiva per la storia nazionale devono però scuotersi. E qualche dichiarazione per la stampa non è di per sé sintomo di attività.